Nella galleria dei ricordi biancorossi oggi è la volta del Presidente che portò la Rari alle vittorie: l’Ing. Giuseppe Gervasio.
La Rari è un qualcosa che ti entra nel sangue e non ti lascia più: mai e poi mai avrei pensato che si potesse instaurare questo rapporto quando, nel lontano 1986, accettai di diventare Presidente della Rari Nantes Savona.
Non conoscevo il mondo della pallanuoto, ero solo un grande appassionato di sport e, da innamorato della mia città, avevo una grande voglia di provare ad aiutare l’unica realtà che, a livello di squadra, portava il nome di Savona, in Italia e in Europa.
All’inizio della mia avventura conoscevo solo superficialmente Claudio Mistrangelo e nessun altro Dirigente della Rari e mi trovai catapultato, dalla sera alla mattina, in un mondo completamente diverso da quello dell’imprenditoria da cui provenivo.
In quel momento storico la società era governata dai grandi genitori (Sciacero, Falco, Pisano, Bortoletto, Rolandi e via dicendo) dei tanti campioni che giocavano nella Rari ed era gestita con i criteri della “Famiglia”.
L’obiettivo che mi posi era quello di trasformarla, a medio termine, in un’impresa e di coinvolgere altri imprenditori savonesi per dare una stabilità economica e per traguardare risultati sportivi importanti.
L’inizio non fu esaltante, anzi, ma dall’esperienza negativa nacque il connubio con Mistrangelo, connubio che è stato foriero di un percorso esaltante, non ancora concluso perché manca la vittoria più prestigiosa: la Coppa dei Campioni.
Mistrangelo mi spiegò subito che il vivaio deve dare l’ossatura della squadra ma per vincere bisogna inserire, se non li hai, i fuoriclasse: individuarli e suggerirli spettava a Claudio, contattarli e convincerli fu (è) il mio compito. Nella Rari hanno giocato in molti: tra gli stranieri indimenticabili Estiarte, Kasas, Janovic, Milat, Sapic, Simenc e Vicevic, tra gli italiani Averaimo, Bovo, Felugo, Ferretti e Fiorentini, senza dimenticare, tralasciando gli attuali, i grandi atleti prodotti dal vivaio: Angelini, La Cava, Pisano, Sciacero e tutti gli altri che è impossibile citare Aver convinto giocatori di questo calibro ad allenarsi e giocare in una squadra priva di una piscina coperta è stata una delle soddisfazioni più grandi, come è grande che tutti gli atleti, che hanno militato nella Rari, ne abbiamo un ricordo positivo ed indelebile.
L’inopinata sconfitta, con un gol di differenza, (perdemmo 11-8 dopo aver vinto a Savona 12-10 con un piscina straboccante di pubblico, più di 3.000 persone) nella finale di Coppa dei Campioni, con lo Jadran, a Trieste, decisa da fattori che nulla dovrebbero avere in comune con lo sport, è stato lo sprone maggiore per riprovarci purtroppo anche il secondo tentativo non ha avuto miglior sorte ma mai dire mai.
Quella finale rimane un ricordo indelebile, a partire dalla riuscita dell’organizzazione di un treno speciale di tifosi (frutto della “follia” di una ragazza dal nome Laura Sicco). L’entrata in piscina fu choccante da una parte 1.500 tifosi savonesi, la maggior parte famiglie con i figli adolescenti, e dall’altra 1.500 indemoniati, in gran parte ubriachi, con un grande striscione con la scritta “Mirko (nome del nostro fuoriclasse Vicevic) c’è una pallottola per te” .
Questo fu l’antipasto, nel riscaldamento il grave infortunio al braccio al nostro portiere Averaimo che, nonostante il dolore, riuscì a disputare una splendida partita, seguì l’incontro caratterizzato da una direzione arbitrale totalmente avversa e contrassegnata dall’annullamento di un gol più che regolare su segnalazione di un guardialinee che, al termine della partita, fra lo stupore di tutti, si tuffò in acqua a festeggiare con gli atleti dello Jadran.
La beffa finale fu l’articolo del Gazzettino di Trieste dal titolo: “La Coppa dei Campioni rimane nel mar Adriatico”
Non so se quella Rari sia stata la più forte di tutti, certamente fu la più spettacolare; giocava una pallanuoto che riusciva ad entusiasmare chiunque: un cocktail perfetto tra la forza fisica e la bravura di Bovo, Petronelli, Pisano, Santamaria e Sciacero, le capacità natatorie di Borsarelli e La Cava, l’elevazione e il tiro del mancino Milat, l’unicità del centro boa, Ferretti, la classe del portiere Averaimo e dulcis in fundo il fuoriclasse assoluto Manuel Estiarte a cui subentrò, nel 1992, un altro grandissimo Mirko Vicevic, senza dimenticare i giovanissimi Angelini e Fresia
Come Presidente prima, come Dirigente dopo ho avuto la fortuna, unitamente ai tanti “folli” amici che mi hanno seguito in questa avventura, di regalare grandi vittorie e dei bellissimi ricordi ai tanti appassionati che sempre hanno affollato la tribuna della Piscina di Savona e di Luceto e di rendere famoso il nome di Savona in tutta Europa.
Ma c’è una vittoria più importante di tutte le altre aver contribuito, in modo significativo, a realizzare due piscine quella scoperta di Albisola Superiore e quella di Savona, giudicata una delle più belle in Italia: manca l’ultimo tassello il completamento dell’impianto che porrebbe la città in grado di ospitare grandi eventi e contribuire significativamente all’economia, specie quella turistico alberghiera.
Infine, anche se l’età avanza inesorabile, la voglia di guardare molto avanti, di costruire una società sempre migliore e trovare tanti altri “folli” che rendano ancora più grande la Rari.
Giuseppe Gervasio
(Nella foto in alto Giuseppe Gervasio).
Sicuramente la Rari degli ultimi 25 anni è stata sotto il segno dell’Ing. Giuseppe Gervasio: prima presidente della fantastica Rari ’90/’93, poi dirigente – patron della Rari dal 2000 ad oggi. La nostra è stata una collaborazione lunga una vita. Fatta di progetti, di idee comuni, di solidarietà nei momenti critici, ma anche di divergenze e di qualche lacerazione. A volte lui troppo tecnico, quasi sempre io troppo dirigente. Ma un’idea comune e fondamentale, quasi un contratto non scritto stipulato tanti anni fa. Dai successi, dagli insuccessi e dalle tante battaglie una cosa doveva rimanere, quando avremmo lasciato la guida ad altri, quando la lasceremo: una società con una piscina, un’organizzazione, un’autonomia, una stabilità. Non volevamo e non vogliamo essere come quei tanti o pochi che conservano le coppe nei sottoscala perché nel frattempo tutto è finito. La casa ora c’è e c’è costata 20 anni, il resto lo dobbiamo trovare nei prossimi e che non siano 20. E con questo dovremo trovare qualcuno che quella maledetta coppa di Trieste, prima o poi, la porti a casa.
Claudio Mistrangelo