LA CONDUZIONE DI UNA SQUADRA
Pubblichiamo oggi in edizione integrale l’articolo di Claudio Mistrangelo su “La conduzione di una squadra” .Continuano così gli approfondimenti della rubrica “Area Tecnica” curati dal Diretto Tecnico della Rari Nantes Savona.Premessa attualeGiacciono nei miei cassetti vecchi articoli, pezzi sulla tecnica, sulla tattica o sulla conduzione di una squadra come quello che segue. Qualcuno me ne ha chiesto, qualcuno me ne chiede. Sono piccole cose , datate come questa anni ’90, in parte superate, in parte no, ma che nella pochezza degli scritti tecnici della pallanuoto possono indurre a qualche riflessione.Così un po’ per fornire un servizio un po’ per narcisismo ho deciso di riproporli.LA CONDUZIONE DI UNA SQUADRA
1) CONDUZIONE TATTICA O CONDUZIONE STRATEGICA
2) IMPOSTAZIONE DELLA SQUADRA
3) PROGRAMMAZIONE
4) ORGANIZZAZINE DELLO STAFF
5) GESTIONE DELLA SQUADRA (Rapporti Allenatore – Giocatori)
a) Principi invariabili
b) Principi variabili
c) Mezzi
Breve Premessa
Il tema, la conduzione di una squadra, è strettamente legato alla personalità dell’allenatore; ho cercato, quindi, di limitare il mio scritto a quei momenti e a quei principi che tutti dovrebbero affrontare e seguire. Anche così volendo, ho di certo presentato mie convinzioni come principi assoluti. Inevitabilmente. Senza certezze, anche un po’ acritiche, non si conduce nessuno da nessuna parte.
CONDUZIONE TATTICA O CONDUZIONE STRATEGICA
• Il primo problema da affrontare per definire la conduzione di una squadra è quello degli obiettivi che ci si pongono e, soprattutto, dei tempi di realizzo.
Tempi immediati o tempi di medio termine (ad es. 3 anni).
• Dal tempo a disposizione discendono 2 modelli possibili di programmazione e, quindi, di conduzione che definirei: strategica e tattica.
• La conduzione strategica è disposta al sacrificio dei risultati immediati per quelli futuri; non accetta compromessi su quelli che ritiene i principi di costruzione di una squadra; punta non sugli atleti migliori, ma su quelli che diventeranno migliori¸ imposta un lavoro atletico-tecnico-tattico di preparazione per il gioco che ritiene necessario nel futuro; …
• La conduzione tattica punta ai risultati immediati; accetta qualche compromesso sui principi pur di ottenerli; si basa sugli atleti migliori; imposta la tattica più redditizia al momento; …
• Spesso la conduzione reale è una combinazione di questi 2 modelli.
Raramente i 2 modelli si combinano nella realtà in modo agevole e danno luogo a cambiamenti di rotte, indecisioni gestionali, contraddizioni che sono la condanna di alcuni allenatori, l’esaltazione di altri.
Alcuni esempi:
1 – Giocatore bravo, ma che indebolisce il gruppo.
Nella conduzione strategica bisogna privarsene, nel secondo caso si tenta ogni possibile soluzione che ne mantenga l’apporto.
2 – Squadra fornita di un solo centroboa, giovane e promettente, ma ancora inefficace.
Nel primo caso si ragiona così: il gioco vincente, il gioco delle squadre più forti, prevede un centroboa; io punto su questo giovane atleta, gli insegno, ma aspetto – con tutte le sofferenze del caso – la maturazione per essere vincente domani.
Nel secondo caso si ragiona in questo altro modo: questo giovane sarà bravo, ma mi costa in efficacia, io non ho il tempo di aspettare la sua maturazione, devo trovare altre soluzioni tattiche (adattare un altro giocatore al ruolo, puntare sulla rotazione di giocatori al centro, portare a difendere in quella posizione l’avversario più debole …) che mi consentano una più alta pericolosità dell’attacco.
Valutazione:
• La prima cosa che faccio, a stagione non ancora iniziata, è valutare la squadra (meglio: il gruppo) che avrò a disposizione.
• Ogni squadra, ogni gruppo ha un’anima.
Per anima intendo l’intreccio di qualità morali (il carattere), atletiche, tecniche e tattiche del gruppo.
Tale anima può cambiare nel corso della stagione, cambia sicuramente di anno in anno, anche se certi gruppi di lungo periodo sembrano dimostrare il contrario.
Occorre – a mio parere – comprendere questo intreccio e la sua dinamica per poter impostare una stagione: ci deve essere un rapporto tra qualità morali, gioco sviluppato, tipo di preparazione impostato.
Esempi:
1 – Una squadra di giocatori esperti, non più veloci come un tempo, amanti non del ritmo, ma del gioco intelligente, dovrà essere condotta ad un gioco non esasperato nei ritmi, ma impostato alla mancanza di errori, diciamo verso un gioco sicuro attraverso una preparazione che – pure dura, pure impegnativa – mantenga la squadra sempre in condizioni brillanti, nell’ambito di un rapporto basato più sull’autorevolezza che sull’autorità.
2 – Una squadra di giocatori giovani, entusiasti ma poco lucidi, dovrà essere condotta ad un gioco di alto ritmo attraverso una preparazione durissima nell’ambito di una disciplina ferrea che imposta una costruzione del gioco a tappe (prima la difesa, poi il contropiede ..).
Da quanto detto si ricava che la valutazione andrà ripetuta perché i gruppi, le squadre – come ogni essere vivente – si modificano, cambiano.
Ciò è facile intuirlo per i parametri fisico-atletici, è più difficile comprenderlo nella sua globalità.
Eppure l’intuizione dell’anima di una squadra e delle modificazioni di quest’anima è uno dei veri segreti dei grandi allenatori.
E’ ancora evidente che questa intuizione non è ispirazione divina, ma risultato di raccolta dati, di costante osservazione, di confronti, di opinioni dei collaboratori, di esperienza passata, di esperienza altrui: insomma di una montagna di lavoro.
E’ infatti evidente che una parte, una grossa parte di questa valutazione deriva da test più volte ripetuti che daranno l’idea delle qualità atletiche dei giocatori.
Così la valutazione tecnico-tattica potrà derivare dall’osservazione di video, da precedenti osservazioni, da tabelle statistiche e sarà costantemente aggiornata nel corso dell’anno da osservazioni continue.
Valutati individualmente i giocatori, valutato il gruppo a disposizione nella sua globalità, occorre passare all’impostazione della squadra a tavolino.
IMPOSTAZIONE DELLA SQUADRA
• Per impostare la squadra si parte dalla divisione dei giocatori a disposizione per ruolo.
Una squadra moderna dovrebbe avere:
– 2 portieri
– 2 centroboa
– 3 o 4 difensori centroboa
– 1 difensore specializzato sull’uomo di movimento
– Almeno 1 mancino
– 3 o 4 giocatori veloci e polivalenti.
• Nel modello attuale di gioco l’asse centrale Portiere – Difensore Centroboa – Centroboa appare come il momento principale della squadra.
• Volendo essere ancora più concisi, diremo che Portiere e Centroboa sono i perni fondamentali.
Quindi da lì bisogna partire per impostare una squadra.
Poi si passa alla verifica delle posizioni di attacco e difesa.
Si posiziona “su un foglio” la squadra dislocando i giocatori nelle loro posizioni naturali e si immagina le soluzioni che una difesa ed un attacco potrebbero adottare: zona, pressing, M, …
Si ripete così per le altre situazioni di gioco, con varie formazioni possibili, con il giocatore più bravo fuori …
Da tutto questo dovrebbero derivare indicazioni delle forze, delle debolezze, degli aspetti atletici, tecnici e tattici, che si hanno da affrontare e su cui impostare la programmazione.
Insomma dal singolo giocatore alla globalità della squadra per tornare ai singoli.
La pallanuoto in vasca e non sulla carta darà, poi, la risposta vera al problema dell’impostazione modificando spesso i pregiudizi a tavolino. Ma ciò non toglie validità a quei pregiudizi che se non diventano dogmi permetteranno in realtà una chiarificazione tecnica (e poi pratica) delle forze e dei limiti in modo molto più veloce.
PROGRAMMAZIONE
• E’ quasi impossibile parlare di programmazione in ambito reale senza avere presenti date, calendari, e, quindi, tempi a disposizione, divisione in fase pre-agonistica e agonistica, impegni di livello diverso.
• Merita forse compiere alcune osservazioni metodologiche.
• Non è sempre facile ritrovare sul campo i tempi di recupero e ripristino indicati dai testi; è esperienza non frequente, ma comune a molti allenatori, trovarsi una squadra, o singoli giocatori, stanca dopo un tapering accurato o tonica dopo grandi carichi di lavoro.
Occorre, quindi, non essere dogmatici e conservare sempre una certa duttilità ricordandosi che l’osservazione dell’allenatore – se suffragata da esperienze, dati, studio – rientra nei criteri scientifici di valutazione.
• Ricordarsi che il fine è il gioco e che il lavoro gara va mantenuto in quasi tutte le fasi della preparazione.
Ci sono infatti delle qualità che non vanno abbandonate per tempi lunghi.
E’ chiaro che durante le fasi di preparazione più intensa il gioco sarà quel che sarà, ma le motivazioni, lo spirito di squadra, … vanno cementati proprio in questi momenti.
• La variazione continua dei calendari e, soprattutto, l’allungamento della parte agonistica ha messo in sordina – negli ultimi anni – la capacità di programmare una lunga fase preagonistica ed esaltato quella di saper alternare, miscelare i carichi ed i mezzi di allenamento durante la fase agonistica.
Credo che su questo terreno molti allenatori abbiano accumulato esperienze anche innovative rispetto anche alla ricerca, che quasi mai ha affrontato tale tematica.
• E’ mia personale convinzione che esistano diverse vie per la preparazione atletica e diverse combinazioni di mezzi, ma è evidente che queste vie non sono infinite e, soprattutto, è certo che ognuna di queste vie è categorica, cioè fissa dei confini, dei contenuti, dalle forme ben delineate.
Insomma non c’è la Via, ma neppure ogni via è valida, e soprattutto, la via che si prende impone una successione di scelte ben precise.
ORGANIZZAZIONE DELLO STAFF
L’allenatore non deve lavorare da solo – Perché non può lavorare da solo.
Egli dovrà avere o trovarsi dei collaboratori.
Un ideale organigramma tecnico prevede:
– Allenatore capo; vice allenatore; preparatore atletico; medico; fisioterapista; dirigente/i; squadra; dirigenti accompagnatori; statistico/i.
In quasi tutte le società questa struttura non esiste, è una vera e propria utopia. Ebbene occorre comprendere che è una necessità e lavorare per realizzare tale struttura.
E’, infatti, evidente che in altro modo è impossibile gestire l’intero processo di allenamento. E’ ancora evidente che questo è tanto vero che un minimo di questa struttura è già presente in tutte le società e che in quasi tute le società si va, spontaneamente o coscientemente, tendendo ad un suo ampliamento.
L’allenatore deve fissare tra i suoi compiti la realizzazione di tale staff e abituarsi, quindi, a lavorare insieme ad altri, a far loro partecipi dei problemi, a organizzare il lavoro attraverso riunioni, incontri, verifiche.
La scelta dei collaboratori è sempre problematica, una serena collaborazione è spesso difficile, la selezione talvolta è necessaria anche in questo campo, ma nessuna di queste considerazioni nega la necessità del lavoro di equipe e la necessità per l’allenatore di divenire un manager.
– Ciò che io chiedo in modo assoluto ai miei collaboratori è la discrezione e la consapevolezza dell’impegno preso. Tutto il resto può arrivare in seguito,gli errori fanno parte del lavoro, ma questi due principi sono inviolabili perché la loro disattesa, soprattutto del primo, può produrre effetti devastanti.
– E’ importante far comprendere ai giocatori che i collaboratori servono per aiutare il lavoro dell’allenatore e dei giocatori, ma non sono al loro sevizio, non stanno lì per badare a loro e fare le commissioni.
– E’ evidente che l’allenatore è dallo staff sgravato di compiti diretti (ad esempio la statistica dei tiri, il lavoro del portiere, le prenotazioni alberghiere …), ma in simultanea vede aumentare il suo lavoro di coordinatore e di programmatore. Saranno necessarie riunioni per programmare, per verificare, per valutare: alcune con questi, altre con quelli, altre ancora con tutti. L’allenatore dovrà coordinare, stimolare, far crescere, attraverso richieste, problemi, osservazioni, la qualità dell’intero staff.
– Ripeto che molti considereranno questa parte una bella utopia o l’esperienza di un’isola fortunata. Eppure posso dire che è anche un problema di determinazione nel tempo.
GESTIONE DELLA SQUADRA
(Rapporti Allenatore – Giocatori)
– Occorre premettere che i rapporti giocatori – allenatore non sono mai rapporti bipolari, ma sempre multipolari.
Il giocatore trova sempre interferito il suo rapporto con l’Allenatore da figure esterne ed interne alla Società: Dirigenti, Giornalisti, …
– E’ necessario che l’allenatore abbia presente la multipolarità dei rapporti con i giocatori e la governi il più possibile almeno per quel che riguarda la sfera societaria.
E’ possibile sostenere, infatti, che i problemi più grossi non sono – come si dice “di spogliatoio”, ma quasi sempre di Società, quasi sempre slegati e determinati da inopportune, inique, sleali interferenze di Dirigenti, addirittura Presidenti, che pensano di gestire – in vece dell’Allenatore, – alle sue spalle persino – i rapporti con i giocatori.
– Su questo terreno la difesa permette limitate soluzioni, limitate e nette.
Occorre chiarire in primo logo il rapporto Allenatore – Società, definendo bene i confini delle competenze occorre essere disposti a troncare di netto il rapporto se tali confini sono valicati in modo ripetuto.
– Ripeto ancora che l’Allenatore deve anche farsi carico dei rapporti tra giocatori e staff, affinchè i giocatori si dispongano alla collaborazione e gli uomini dello staff abbiano ben presenti le regole della discrezione ed i limiti dei loro compiti.
– Ciò premesso, diciamo che il rapporto allenatore – giocatore è regolato da alcuni principi di fondo che potremmo dividere in invariabili (A) e variabili (B), principi che potremmo seguire e realizzare attraverso una serie di mezzi (C).
PRINCIPI INVARIABILI (A)
1) Meglio un comandante stolto che due intelligenti.
Così diceva Napoleone e così mi pare imponga l’esperienza. Se non c’è chiara responsabilità non c’è organizzazione.
Quando le cose vanno bene, tutto può andare; ma quando le cose vanno male (ed è inevitabile o necessario che in certe fasi vadano male) deve essere chiaro chi è il responsabile.
I giocatori devono sapere che chi decide, chi li valuta, chi li seleziona è l’Allenatore perché a lui tocca la responsabilità della scelta.
La Società deve rendere ben chiaro questo concetto, non ci devono essere spazi di interpretazione a questa regola chiarissima.
L’allenatore deve avere chiaro che non deve sfuggire a questa responsabilità, spesso non facile perché isola, perché è naturale cercare un appoggio, un sostegno, un aiuto.
L’Allenatore deve avere chiaro che questa assunzione di responsabilità è tanto più necessaria quanto più il momento è difficile perchè è proprio in tali situazioni che si creano basi forti e rapporti chiari per il futuro.
L’allenatore deve vivere bene l’isolamento del capo.
2) L’impegno degli atleti deve essere sempre massimo (impropriamente definito 100%).
L’atleta deve arrivare all’allenamento concentrato, deve vivere l’allenamento con voglia, con determinazione.
L’Allenatore lo può aiutare organizzando bene l’allenamento, assegnando carichi possibili (anche se durissimi), distribuendo bene i compiti, chiarendo quale è la richiesta tecnica, spiegando le finalità di certi esercizi, correggendo gli errori.
Insomma lavorando in modo serio e programmato, l’allenatore può far comprendere all’atleta le necessità e le finalità del suo impegno.
Se l’atleta per il giorno Y non si allena bene, questo non è un problema grave.
SI può anche far finta di niente, si può regalargli un anticipo di uscita,una giornata di festa.
Ma se l’atleta Y manifesta più volte il suo disimpegno occorre chiarire subito: o ci sono problemi e devono essere affrontati o è un atteggiamento fisiologico che va risolto, in estrema ratio attraverso la selezione.
Non ci possono essere nello sport agonistico moderno atleti cronicamente poco motivati.
Ogni ambiente ne produce (gli uomini e anche gli atleti sono diversi), l’ambiente sano li scarta, l’ambiente che non li scarta diventerà malsano. Ciò è vero soprattutto, quando si vuole impostare la cosiddetta politica dei giovani: i “vecchi” che rimangono devono essere cristallini esempi di determinazione.
– L’atleta che ha di più deve dare di più.
Il giovane pallanuotista convocato in Nazionale non deve essere il gasato che si pavoneggia davanti ai suoi compagni di team meno fortunati, ma l’esempio di disciplina e impegno. L’atleta adulto che fa parte della nazionale maggiore deve essere esempio chiaro di serietà, di professionalità, di correttezza di rapporti interni ed esterni alla società.
– La puntualità e la presenza.
Sono due piccole cose, ma rappresentano due grandi obiettivi oltreché due mezzi formidabili di costruzione di una mentalità positiva.
Gli atleti devono essere presenti e devono essere puntuali.
E’ inutile fare grandi discorsi sul gruppo quando gli atleti arrivano all’allenamento all’ora che loro garba, quando i più seri aspettano quarti d’ora che arrivino gli altri …
E’ inutile fare grandi programmazioni quando le assenze diventano un fatto regolare.
Qui le eccezioni possono essere molte (L’atleta che esce da scuola, dal lavoro …), ma il principio è chiarissimo e deve essere trasformato in abitudine, in fatto normale.
o Ci sono, soprattutto nei team non stellari, atleti più bravi e atleti meno bravi, ci sono simpatie e antipatie … Alcuni allenatori identificano la costruzione della squadra nella trasformazione del gruppo squadra in un gruppo di amici. E’ opinione comune che le relazioni extra allenamento aiutino o danneggino di molto il lavoro della squadra. Penso che ci possa essere del vero, ma contemporaneamente ritengo l’osservazione del tutto inutile. Vedrei, infatti, come presuntuoso il tentativo di creare amicizia in maniera pianificata.
Si può fare altro e molto. Il gruppo- squadra è un gruppo di lavoro, è un’unità di combattimento che si esprime attraverso quella guerra simulata che sono i giochi sportivi. Se nella squadra ci sono rapporti di antipatia, disistima, inimicizia, la pretesa assoluta dell’allenatore è che non si trasferiscano nel lavoro e nel gioco. Il Lavoro stesso è uno strumento di costruzione del gruppo perché il rispetto della fatica del compagno, per quanto antipatico, oltre ad essere un atto dovuto, diviene un fatto spontaneo. L’allenatore – simpatia, quello dei programmi facili, quello che “si lavora poco”, si priva di un mezzo, – la fatica, lo stress, – per unificare il gruppo – squadra.
Con un lavoro facile alleggerisce l’aggressività dei giocatori verso di sé, ma aumenta la possibilità di scontro interno alla squadra.
– Il rispetto della fatica e dell’impegno di estenda anche agli avversari.
Deve diventare un leit-motiv, stimiamo chi lavora in maniera seria e dura. Questo atteggiamento costruisce nell’atleta una cultura sportiva che rifiuta le pose lassiste o divistiche, l’esaltazione della vittoria o la depressione della sconfitta.
– L’orgoglio per il modo in cui ci si allena è un ottimo strumento per realizzare uno spirito di squadra.
Chi si allena in modo disimpegnato si deve sentire un corpo estraneo. Anche l’atleta fenomeno andrà inquadrato in questo clima.
– L’abbandono di ogni alibi (la fortuna, gli arbitri …) è un altro strumento indispensabile alla crescita dell’atleta. Non perché il caso non possa intervenire nell’evento sportivo (ma se si ripete, non è più un caso) ma perché su certe componenti è impossibile intervenire.
– Occorre essere spietati nell’analisi dei propri errori, occorre trovare la via e l’entusiasmo per superarli.
– Ricapitolando. Fissiamo come principi invariabili (cioè validi per ogni tipo di squadra):
o l’accettazione del ruolo di responsabile unico dell’allenatore;
o il rispetto dell’impegno, anche nell’errore, dei propri compagni;
o l’assoluto impegno nell’allenamento;
o la presenza;
o la puntualità;
o l’abbandono di ogni alibi;
o il rispetto degli avversari;
o la disciplina verso gli arbitri.
PRINCIPI VARIABILI (B)
Esistono poi, principi che si potrebbero definire variabili, cioè che si adattano a certe squadre e non ad altre.
– La consapevolezza del programma di lavoro motiva l’atleta.
Il programma di lavoro è spesso fonte di interesse per il giocatore che vuole sapere che si farà oggi, oppure dopo questo o quest’altro lavoro, oppure la settimana prossima.
La consapevolezza può in effetti essere un aiuto, ma può essere un freno.
Occorre valutare che gruppo si ha davanti, oppure alternare il metodo del dire a quello del non dire.
In generale l’atleta evoluto riceve motivazioni dalla consapevolezza, il giovane no.
Ma questa non è una regola.
Personalmente talvolta ho spiegato fin nei dettagli quanto facevamo e perché, tal altra non ho spiegato che pochissimo.
Questo vale negli ultimi anni per le statistiche, ultima passione di molti giocatori.
– L’ambito di intervento gerarchico dell’ellenatore può variare.
E’ evidente che sul piano del lavoro atletico, tecnico e tattico – e su questo si è già detto fin troppo – l’allenatore è il responsabile ultimo ed unico.
Non di questo si tratta.
E’ nella sfera privata che è problematico intervenire.
La mia convinzione radicata è quella del minimo ambito di intervento gerarchico necessario.
Cioè si chiede dalla vita privata solamente se si registrano cali di tensione, di concentrazione, di determinazione nell’allenamento.
Del resto, nessun direttore, nessun capo ufficio mantiene un controllo così stretto sui suoi dipendenti.
Se poi storicizzassimo il discorso nella affluent society avremmo ancora più chiara la pressione dell’allenatore.
Insomma credo che gli interventi nella sfera privata vadano limitati a casi di stanchezza, di scarso rendimento non motivabile con il momento dell’allenamento.
Detto questo, più volte ho incontrato la necessità di intervenire, di chiedere, di ordinare anche nella sfera privata.
– Quindi: ci devono essere regole comportamentali nel privato o solo suggerimenti. Anche questo corollario risulta,quindi, variabile: ci sono casi in cui tali regole sono indispensabili, altri in cui sono inutili.
Ma una cosa deve essere certa: se le regole ci sono, devono essere fatte rispettare.
I MEZZI
Il discorso sui mezzi è estremamente complesso perché può comprendere anche l’intero atteggiamento che l’allenatore tiene con i propri atleti. Tale atteggiamento – pur determinato, ovviamente, dalla personalità del tecnico – si dovrà confrontare con quanto il tecnico stesso vuole ottenere dal gruppo sulla base del giudizio che del gruppo e della sua conduzione dà.
Per questo un allenatore deve imparare a tenere fuori dal lavoro le proprie problematiche personali, e limitare i propri balzi di umore, a determinare il proprio atteggiamento non sulla base delle proprie emozioni spontanee, ma sulla base di quanto ritiene utile alla formazione e alla condizione morale della squadra.
Agire o agitarsi in modo spontaneo equivale all’espressione perdere la testa e se l’allenatore perde la testa anche la squadra lo fa.
Le sfuriate, ad esempio, possono essere uno sfogo o un mezzo in dipendenza della ragione che le determina.
Nel primo caso esse sono un errore, nel secondo una necessità.
Ripeto, la mia convinzione che l’atteggiamento è il mezzo più importante, ma anche quello di più complessa definizione.
Insomma richiederebbe un libro nel libro.
Più banale è il discorso sui mezzi, comunemente intesi, a disposizione dell’allenatore per condurre una squadra.
1) Le riunioni: alle riunioni di carattere tecnico – tattico si aggiungono quelle sul lavoro (se si ritengono utili), quelle di valutazione, quelle sul comportamento, di definizione degli obblighi, …
Uno schema diffuso prevede una riunione di bilancio della partita precedente in inizio settimana, una di impostazione tecnico – tattica della partita seguente in fine settimana o, comunque, il giorno precedente o lo stesso della partita.
Queste riunioni possono avere un carattere più tattico – specie con l’utilizzo del video – o un carattere più morale, di incitamento o rimprovero …
L’impostazione della riunione può essere gerarchica o partecipativa: nel primo caso si rischia la disattenzione, nel secondo la confusione.
2) I provvedimenti disciplinari: sotto questa voce possono essere raccolte molte misure repressive, punitive, restrittive (multe, ritiri, controlli, sospensioni …) vanno utilizzati con parsimonia, in casi di assoluta evidenza, essendo chiaro e trasparente il principio ispiratore: rendere più forte il gruppo.
3) I premi: sotto questa voce possono essere raccolte molte misure gratificanti (dal premio in denaro alla pacca sulla spalla).
Anche qui evitare eccessi: tanti complimenti, nessun complimento.
4) La selezione: è il vero sistema di formazione del gruppo. Selezione e lavoro devono essere i principali mezzi dell’allenatore.
Del resto il lavoro implica la sua capacità di progettazione, la selezione, la sua capacità di valutazione.
Una selezione onesta rende serio il lavoro, un lavoro serio rende onesta la selezione.
Claudio Mistrangelo
(Nella foto in alto la Rari che vinse lo Scudetto nel 1991).